Il ventiseiesimo rapporto CRENoS sulla situazione economica dell’Isola è stato presentato all’Università di Cagliari
“Sono particolarmente contenta che sul Rapporto CRENoS si incontrino gli esponenti politici che hanno governato finora e quelli che governano ora, perché solo la cultura e la conoscenza possono garantire la crescita della nostra Isola. Il nostro Ateneo sta facendo la sua parte per insistere sulla formazione e sulla creazione della cultura di impresa, con il CREA UniCa e il Contamination Lab”. Così Maria Del Zompo, Rettore dell’Università di Cagliari, intervenendo questa mattina alla presentazione dei dati sull’economia della regione sarda in Facoltà di Scienze economiche, giuridiche e politiche.
Poco prima, dalla direttrice del CRENoS Emanuela Marrocu era arrivato un forte messaggio di collaborazione tra gli Atenei sardi che da tanti anni lavorano insieme. Dalla prof.ssa Marrocu anche un pensiero alla stampa, in particolare al collega giornalista di la Repubblica vittima a Genova di un episodio inaccettabile.
La presentazione di quest’anno è stata curata da Bianca Biagi, docente dell’Università di Sassari. Segue una sintesi del suo intervento, in allegato anche alcuni infografiche. E’ in corso una tavola rotonda coordinata da Eleonora Bullegas.
Il quadro macroeconomico: aumenta la distanza con le regioni più dinamiche dell’Unione Europea e d’Italia
Nel raffronto con l’Europa, il quadro macroeconomico regionale mostra segni di debolezza: nel 2017, ultimo anno per il quale sono disponibili i dati a livello regionale, la Sardegna occupa la 214esima posizione nella classifica delle 281 regioni dell’Unione Europea (UE), con un PIL per abitante pari al 69% della media europea (media italiana: 96%). Il sistema economico regionale non è capace di stare al passo con la crescita dell’Europa: in un quinquennio perde 4 punti percentuali e si allontana dalle regioni più dinamiche dal punto di vista economico. Nel 2017 il PIL della Sardegna è pari a 18.937 euro per abitante, più alto rispetto al Mezzogiorno (17.354 euro) ma sempre più distante del Centro-Nord (31.105 euro). Il dato regionale è in aumento rispetto al 2016 (+1,1%) ma meno rispetto al Mezzogiorno (+1,4%) e soprattutto del Centro-Nord (+1,8%). Il divario di reddito tra il Nord e il Sud continua ad approfondirsi.
Si conferma l’aumento dei consumi delle famiglie iniziato nel 2015: la spesa per abitante nel 2017 è pari 13.407 euro, in crescita del 1,2% su base annua. In aumento l’acquisto di servizi (+1,8%), di alimentari, prodotti per la persona e la casa e medicinali (+1%) ma quella per i beni con utilizzo pluriennale (arredamento, autovetture, elettrodomestici, abbigliamento, libri) è pressoché stabile (-0,2%) rispetto al 2016. Soprattutto questa terza componente, che è la più compressa nelle fasi di crisi economica, segnala una disponibilità di reddito per i consumatori e le famiglie che non accenna ad aumentare.
Il dato sugli investimenti riflette ancora una fase di crisi e di difficoltà per imprese e famiglie e continua a mostrare le conseguenze della fase recessiva: nel 2016 gli investimenti per abitante sono pari a 3.190 euro in Sardegna, in calo dello 0,9% rispetto al 2015. L’andamento è in linea rispetto al Mezzogiorno (-0,5%), mentre il Centro-Nord va in direzione opposta e registra un +4,9%. Per il complesso del paese sembra superata la fase di rallentamento del processo di accumulazione di capitale particolarmente evidente nel quinquennio 2011-2015, ma molte regioni del Mezzogiorno, tra cui la Sardegna, non sperimentano ancora tale inversione di tendenza. Ciò che appare preoccupante è la constatazione che in un decennio il valore degli investimenti nell’Isola ha subito un dimezzamento: da 6.534 euro del 2007 si passa a 3.190 euro per abitante del 2016.
La struttura produttiva: segnali di vivacità imprenditoriale, esportazioni in espansione
Le imprese attive in Sardegna aumentano di 348 unità e nel 2018 sono 143.299. Il tessuto imprenditoriale è frammentato: gli addetti delle microimprese sono il 64% del totale, una quota maggiore di quella italiana (45%), già di per sé rilevante. Dal punto di vista settoriale si conferma la forza del comparto agricolo, sia nel numero delle imprese (più di 34mila, pari al 24% del totale) sia nella loro capacità di creare valore aggiunto (5% in Sardegna contro 2% in Italia). Permane il sottodimensionamento del comparto industriale (21% delle imprese e 16% del valore aggiunto in Sardegna, contro 24% di imprese e del valore aggiunto in Italia). In Sardegna i settori legati alle attività svolte prevalentemente in ambito pubblico e ai servizi non destinabili alla vendita sono responsabili di oltre un quarto del valore aggiunto complessivo, mentre le imprese che producono beni e servizi destinati al mercato hanno un peso relativamente esiguo, denotando una scarsa capacità da parte del sistema produttivo isolano di creare valore.
Nel 2018 vi è una ulteriore espansione dell’interscambio con l’estero sia dal lato delle importazioni sia delle esportazioni. L’export sardo è pari complessivamente a 5,74 miliardi di euro (+7% rispetto al 2017). Il settore petrolifero rappresenta l’83% del totale e raggiunge i 4,76 miliardi di euro (+8% su base annua, spinto dal forte aumento del prezzo del petrolio). Per il resto dei settori le vendite all’estero sono pari a 975,26 milioni, in lieve crescita (+3%). Per la chimica di base (fertilizzanti, composti azotati, materie plastiche e gomma sintetica) le esportazioni superano i 274 milioni di euro (+30% rispetto al 2017), le armi e munizioni esportate sono 94,61 milioni (+23%), mentre l’export dell’industria lattiero-casearia, in calo per il terzo anno consecutivo, è pari a 91,41 milioni di euro (-23% su base annua).
Segnali incoraggianti per il mercato del lavoro in Sardegna
Il 2018 fa registrare un aumento della partecipazione al mercato del lavoro rispetto all’anno precedente: il tasso di attività cresce dell’1,8% e arriva al 47,4%. Il divario di genere è ancora elevato: solo il 38,8% delle donne partecipa al mercato del lavoro, contro il 56,5% degli uomini.
Nel 2018 il numero degli occupati aumenta di 20mila individui e il tasso di occupazione arriva al 40,1%, collocando la Sardegna tra le regioni con l’aumento più forte (+3,8%, a fronte del +1,1% del Mezzogiorno). Il tasso di occupazione maschile è pari a 47,6% (+1,8% rispetto al 2017), mentre l’occupazione femminile è pari al 33%, con l’aumento più elevato tra tutte le regioni italiane: +6,7%. Tre quarti dei 20mila nuovi occupati nel 2018 sono infatti donne. Positivo anche il dato sui rapporti di lavoro attivati nel 2018 (+8,5% sul 2017), con un saldo attivo rispetto a quelli cessati (anch’essi in aumento dell’8,3%), e che supera le 10mila unità. Si tratta però di un quadro con alcune ombre: l’84% dei nuovi occupati ha contratti di lavoro dipendente a tempo determinato mentre sono ferme le assunzioni a tempo indeterminato. Inoltre i contratti a tempo parziale (+11,6%) aumentano più di quelli a tempo pieno (+1,7%). Tra le donne, oltre il 70% delle nuove occupate ha un contratto di lavoro part-time. Infine, mentre tra gli uomini l’aumento più forte del tasso di occupazione, tra il 2017 e il 2018, si registra tra chi è in possesso di una laurea o un titolo superiore (+5,7%), tra le donne cresce soprattutto tra chi ha un diploma (+10,7%) o un titolo medio-basso (+6,6%).
La ripresa dell’occupazione è trainata dal settore alberghiero e del commercio, che impiega nel 2018 quasi un quarto degli occupati. Gli occupati nel settore legato alla ricettività turistica crescono infatti del 12,8% rispetto all’anno precedente.
La disoccupazione è in calo per il quarto anno consecutivo, nel 2018 si attesta al 15,4%, riducendosi rispetto al 17% dell’anno precedente. Cambia la composizione dei disoccupati: nel 2018 la percentuale di donne si riduce al 41%, mentre dieci anni prima si registrava un sostanziale equilibrio di genere. Aumenta anche l’età media: nel 2009 in Sardegna i disoccupati dai 35 ai 64 anni erano il 42,4%, nel 2018 la loro percentuale sfiora il 60%. Si tratta di un trend comune anche al resto d’Italia, dove la quota dei disoccupati con 35 anni o più aumenta di oltre nove punti in dieci anni.
Servizi pubblici: spesa sanitaria in lieve riduzione, buona gestione dei rifiuti e del trasporto cittadino
Per la prima volta dal 2013 la spesa sanitaria in Sardegna si riduce lievemente passando dai 3,28 miliardi di euro del 2016 ai 3,27 miliardi del 2017. La spesa sanitaria è pari a 1.981 euro per abitante, in riduzione del -0,7% rispetto al 2016, ma sempre superiore rispetto a quella di Mezzogiorno (1.789) e Centro-Nord (1.936). Le componenti che hanno contribuito maggiormente alla riduzione dell’ultimo anno sono la spesa farmaceutica (-3,3%) e la spesa per prestazioni da privato (-0,93%). Se si incrociano questi dati con i dati relativi all’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) tuttavia, emerge una gestione complessivamente inefficiente delle risorse: il Sistema Sanitario Regionale non raggiunge il livello di adempienza richiesto dagli standard nazionali. La spesa sanitaria sarda incide per il 9,8% del PIL regionale contro una media nazionale del 6,7%.
Buone notizie nell’ambito della raccolta differenziata dei rifiuti: la percentuale di raccolta continua a crescere e raggiunge, nel 2017, il 63,5%, valore maggiore della percentuale del Centro-Nord (61,6%) e del Mezzogiorno (41,9%). La produzione di rifiuti solidi urbani continua a ridursi fino a 438,3 kg per abitante, inferiore rispetto sia alla media del Centro-Nord (513,7 kg) che del Mezzogiorno (488,8 kg). Tuttavia, anche quest’anno, i comuni sardi spendono più della media nazionale sia per la gestione dei rifiuti solidi urbani sia per la raccolta differenziata.
Dall’analisi del trasporto pubblico derivano sia elementi positivi sia negativi. Il 2017 rappresenta, nell’ultimo decennio, l’anno con la più alta percentuale di pendolari che utilizzano i mezzi pubblici (18,2%). Questo dato risulta in crescita del 3,9% rispetto al 2016 ma la Sardegna ha valori ancora inferiori a quelli delle altre regioni. Il livello di soddisfazione degli utenti di treni e pullman (trasporto extraurbano) è inferiore a quello medio nazionale, mentre i livelli di soddisfazione degli utenti sardi degli autobus (trasporto urbano) sono nettamente maggiori del Mezzogiorno e di poco superiori a quelli del Centro-Nord.
Per quanto riguarda il welfare locale, la percentuale di comuni coperti dai servizi socio-educativi per l’infanzia cala di 6,9 punti nell’ultimo anno: solo il 30,8% dei comuni della Sardegna eroga tali servizi, terzultima regione in Italia per copertura. Il livello di fruizione del servizio, comunque, continua a crescere: in Sardegna l’11,3% degli utenti potenziali utilizza il servizio, contro il 7% registrato nelle altre regioni del Mezzogiorno.
Capitale umano e Ricerca e Sviluppo: luci e ombre per la Sardegna
La Sardegna negli ultimi anni ha evidenziato una forte crescita dei laureati di 30-34 anni (dal 17% del 2013 al 23,6% nel 2017): nonostante questo, é da rimarcare il ritardo rispetto agli obiettivi programmati nel documento Strategia Europa 2020 (nel 2020 almeno il 40% dei giovani deve essere laureato) e la distanza rispetto alla media dei paesi dell’UE (39,9% nel 2017). Appaiono inoltre elevati i divari nelle conoscenze e competenze scientifiche che rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’innovazione: nel 2017 solo il 3,9% della forza lavoro fa parte della categoria “scienziati ed ingegneri”, rispetto al 7,2% della media UE.
Elementi di preoccupazione sono evidenziati anche dal tasso di abbandono scolastico (21,2% in Sardegna nel 2017, rispetto al 10,6% della media UE) e dalla percentuale di NEET, ovvero giovani scoraggiati, fuori dal mondo del lavoro e da attività di istruzione o formazione, che risulta ancora troppo alta (24,1% in Sardegna nel 2017, rispetto al 10,9% della media UE).
Sul fronte degli investimenti in ricerca e sviluppo, la Sardegna investe meno di un terzo rispetto alla media dei paesi UE (il 28%), con una quota di investimenti privata esigua (appena il 15% del totale rispetto al 61% dell’Italia e al 65% della media UE). Nonostante i bassi livelli di investimento in ricerca e sviluppo, le imprese isolane sembrano adattarsi alle nuove tecnologie in maniera strategica: il 37,5% di esse ha infatti intrapreso attività innovative nel 2016, dato inferiore alla media UE (52%) ma incoraggiante se rapportato ai bassi tassi di investimento in ricerca e sviluppo. Esiste quindi una componente privata che, nonostante la congiuntura negativa, si impegna per competere in mercati globali, scegliendo nuove tecnologie e sfruttando le opportunità che arrivano dallo sviluppo digitale.
Per quanto riguarda le startup innovative emerge il ruolo fondamentale di Cagliari (18,7 startup ogni 100.000 abitanti), superiore alla media nazionale (16,1) e al resto delle province isolane (13,5 per Sassari, 5,7 per Nuoro e 2,5 per Oristano). L’attività più diffusa si conferma la produzione di software e la consulenza informatica, sicuramente il settore meno dipendente dalla condizione di insularità.
Turismo: migliora l’internazionalizzazione, diminuisce la stagionalità, aumenta l’offerta di alta qualità
I dati Istat per il 2017 indicano circa 3 milioni e 100 mila arrivi e 14 milioni e 220 mila presenze (rispettivamente +7,6% e +5,5% rispetto al 2016). La componente estera (+10,4% presenze e +12,7% arrivi) cresce più di quella nazionale (+1,0% presenze e +3,2% arrivi). Rispetto ai competitor (Sicilia, Puglia, Calabria e Corsica), la performancedella Sardegna risulta la migliore per quanto riguarda la crescita delle presenze straniere.
Nel 2017 la quota dei turisti stranieri raggiunge il 50% (32% nel 2008) ed eguaglia la quota media nazionale. Germania, Francia, Svizzera e Regno Unito si riconfermano i principali paesi di provenienza dei flussi turistici. Da segnalare la crescita sostenuta nel 2017 dei turisti russi (+25%) e inglesi (+24%). Aumentano anche i turisti provenienti dalla Svezia (+22%), così come quelli provenienti dai Paesi Bassi (+17%) e dalla Spagna (+14,3%).
Circa il 50% delle presenze turistiche complessive si concentra nei mesi di luglio e agosto, percentuale che raggiunge l’82% se si considera l’intera stagione estiva da giugno a settembre. La forte stagionalità dei flussi, caratteristica delle destinazioni orientate al turismo marino-balneare, comporta un basso utilizzo delle strutture ricettive rispetto al loro potenziale. L’indice di utilizzazione si attesta al 25,9% per le strutture del comparto alberghiero e al 10,4% per quelle del comparto extralberghiero. Basti pensare che le strutture vengono utilizzate per il 58% nel mese di agosto e solamente per l’1% nei mesi di gennaio e dicembre. Sebbene le quote di utilizzo siano inferiori alla media italiana e corsa, la nota positiva è che la Sardegna è in linea con le altre regioni competitor del Sud Italia e che, negli ultimi anni, ha sperimentato un miglioramento. L’aumento dei turisti internazionali, il cui numero supera quello dei turisti nazionali nei mesi cosiddetti “di spalla” (aprile, maggio, giugno, settembre e ottobre), sta dunque contribuendo al processo di destagionalizzazione, particolarmente importante per i suoi effetti positivi: una minore concentrazione turistica rende il settore più sostenibile dal punto di vista ambientale e più attrattivo dal punto di vista imprenditoriale.
Per quanto riguarda l’offerta ricettiva, nel 2017 aumentano sia le strutture (+1,2%), sia i posti letto (+0,9%). In particolare, si rileva un aumento delle strutture alberghiere di medio-alta qualità (13 hotel 3-4 stelle in più rispetto al 2016) mentre diminuiscono quelle di qualità più bassa.