Un gruppo di “capitane” coraggiose cancella la scritta sessista contro Carola Rackete apparsa sulla SS195
“Un dipinto per domarli, un dipinto per trovarli, un dipinto per ghermirli e nel buio incatenarli”. Scimmiottando la “poesia dell’anello” presente nella fortunata saga “Il Signore degli Anelli” di Tolkien, ci si augura che un dipinto possa metaforicamente contenere una forza simile a quella di cui sono investiti gli anelli del racconto, e invece di “governare” il mondo abbia il potere di salvarlo da violenza e grettezza tipicamente umane.
È più o meno questo il desiderio di un gruppo di donne che, animate da un profondo senso di giustizia, si sono armate di vernice, rulli e pennelli e hanno deciso di cancellare la scritta sessista rivolta a Carola Rackete – comandante della Sea Watch 3 – apposta da ignoti, presumibilmente IN-umani, su un muro di un’azienda lungo la statale 195 che collega Cagliari a Capoterra.
L’iniziativa, che presenta tutti i caratteri di un flash mob, si è svolta il 3 ottobre a partire dalle h. 17:00 e ha coinvolto numerose donne di cui si sono fatte portavoce la giornalista Gianna Melis, da sempre in prima linea nei movimenti femministi a tutela delle donne e promotrice del primo centro antiviolenza sorto a Milano e organizzato dal MDL – Movimento Liberazione Donna – e Nina Castle, artista sarda che ha aderito al progetto con grande entusiasmo.
Tutto è nato in modo molto improvviso e naturale, ci racconta Gianna Melis che, raggiunta dai microfoni di Unica Radio, rivendica la natura politica del suo gesto e precisa: «quella strada la percorro frequentemente quando sono in Sardegna e da luglio ho notato quella scritta che ogni volta che passavo mi faceva bollire il sangue, perché la ritengo offensiva non solo nei confronti di Carola ma proprio verso tutte le donne. Questa cultura maschilista dell’offendere le donne a livello sessuale è inaccettabile, così ci ho pensato un po’ e ho capito che dovevo fare qualcosa: andava cancellata. Doveva però essere un gesto politico, doveva essere un’azione di sole donne che, oltraggiate da quella scritta, decidevano di reagire. Allora ho iniziato a sentire, tramite i social, donne amiche che condividessero gli intenti, soprattutto che sposassero il principio e, sorprendentemente, nel giro di pochissimi giorni non solo ho trovato un gruppo di donne disponibili a cancellarla ma ho trovato anche Nina Castle che si è proposta di sostituire quell’abominio con un magnifico disegno».
Questo è stato quindi il principio e insieme l’obiettivo. Un’azione concreta, quella di ripulire il muro, simbolicamente volta a un’impresa altra, più grande, necessaria: scardinare quella mentalità becera, profondamente sessista, che vuole punire la donna con il sesso, spesso con lo stupro, perché si è incapaci di fronteggiarla in altro modo. Quel costume malato, tutto maschile, per il quale quando non si condivide l’operato di una donna la si deve redarguire con un gesto bestiale e inumano come solo lo stupro sa essere. Se poi la donna è forte e prende decisioni importanti allora la punizione deve essere ancora più violenta. Ricordate lo squallore della scritta “Franca Rame ha goduto a essere stuprata” apparsa su un liceo romano? O il «Signora, lei ha goduto?» rivoltole durante l’interrogatorio? Ecco, si attinge dallo stesso calderone. Cambiano i tempi ma nulla è cambiato nella mentalità di chi pensa di affermare una presunta superiorità attraverso la sottomissione sessuale.
Dopo tre ore di lavoro – davanti a un pubblico involontario fatto di automobilisti di passaggio – inframezzate da qualche “Brave!”, “Bravissime!”, o “Finalmente! Non se ne poteva più di quella scritta” urlato a gran voce dalle macchine che percorrevano la statale, ha preso lentamente forma l’opera di Nina Castle, inizialmente solo abbozzata su un foglio da disegno.
«Non ho dormito per tre giorni a furia di pensare a quale sarebbe potuto essere il disegno giusto, adatto a questa causa e alla fine dopo tante bozze è nato! La bambina col caschetto nero che abbraccia il mondo è un po’ la rappresentazione visiva dell’amore per il mondo e per tutte le persone che lo abitano. Volevo dare un esempio positivo di amore, di aiuto. “Banalmente” il primo passo da fare se vogliamo vivere in un posto migliore è quello di cambiare atteggiamento nei confronti del prossimo, tendere una mano verso chi ne ha più bisogno piuttosto che coltivare esclusivamente il proprio orticello. Insomma, bisogna cambiare mentalità. Da qui il collegamento con Carola e con quello che ha fatto con la Sea Watch. È un messaggio d’amore verso il mondo quello che volevo lanciare: cerchiamo di volerci più bene, fidiamoci degli altri, non pensiamo sempre male del prossimo perché solo così potremo costruire qualcosa di buono, un mondo migliore» ci spiega Nina, che invece ritiene il suo contributo esclusivamente artistico, non lo lega alla politica; il suo messaggio è più alto, totalizzante, ed è destinato agli esseri umani, a tutti coloro che abitano il pianeta.
Del resto, aveva ragione De André: “dal letame nascono i fior”.